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Lago Molveno da Cima Soran

TRENTINO «COAST TO COAST»: CON “BORN TO WALK” UNA NUOVA SERIE DI ITINERARI

Da un lago all’altro all’ombra delle Dolomiti, a piedi o in bicicletta …”Born to walk” colpisce ancora e dalla fervida fantasia del nostro sito nasce una serie di nuovi itinerari per conoscere uno dei patrimoni più belli ed in parte meno conosciuti del Trentino.
In Trentino oggi non c’è più il mare, anche se molte delle sue bellissime montagne sono nate dentro il mare, come ad esempio le Dolomiti-Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, che si sono formate durante milioni di anni come degli atolli corallini in un mare caldo e cristallino ma… in Trentino ci sono oggi oltre 300 laghi (su 4.000 delle Alpi intere) per una superficie di oltre 35 kmq, di varia natura e dimensione, a diverse quote, uno più bello dell’altro: dai grandi e famosi Garda, Caldonazzo, Molveno ai coloratissimi Tovel, Tenno, Calàita; dagli artificiali Bissina, Pian Palù, Fedaia agli altissimi Scuro, Marmotte, Colbricon, Vedretta.
Una ricchissima ed articolata rete di sentieri creata e curata dalla SAT/CAI e le belle piste ciclopedonali realizzate dalla Provincia di Trento – oltre all’efficiente sistema del trasporto pubblico – consente di passare da «COSTA A COSTA», da una parte all’altra del Trentino, dalle spiagge calde e mediterranee fino a quelle gelide ed artiche, dalle acque tiepide e balneabili di Levico agli iceberg galleggianti del Làres.
Vi inviteremo a conoscere dieci fantastici percorsi per scoprire un Trentino “diverso”, fuori dalle rotte e dai luoghi comuni, con visioni e prospettive nuove…tutto da vivere ed esplorare!
 Da Ovest ad Est
 Da Est ad Ovest
 Da Sudovest a Nordest
 Da Sudest a Nordovest
 Dal più basso al più alto
 Dal più grande al più piccolo
 Dal più freddo al più caldo
 Dal più azzurro al più verde
 Dal più idroelettrico al più pescoso
 Dal più sportivo al più protetto

L’idea si dovrebbe completare con una nuova app per muoversi in libertà e per provare tutti gli itinerari con ampia descrizione, immagini georeferenziate e filmati in hd, file in formato .gpx per il vostro gps, punti di appoggio, di assistenza, di soggiorno, geocache e luoghi da scoprire, i trasporti pubblici che si possono utilizzare.
Le Dolomiti da valle a monte saranno sempre belle da percorrere, ma fra poco si potranno fare anche “da costa a costa”.

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PIU’ CAMMINI E MENO PAGHI: A COMANO GRANDI VANTAGGI PER I CAMMINATORI!

La Comano ValleSalus non è solo una terra ricca di passeggiate, percorsi a piedi nella storia, arte e cultura! Se sei un appassionato dello scarponcino e delle camminate, alle Terme di Comano potrai fare il pieno di salute per il corpo, risparmiando!
Innanzitutto, potrai lasciare l’auto ferma durante la tua vacanza in montagna, e goderti in tranquillità la valle camminando! Prima di partire per le tue passeggiate o escursioni attiva il contapassi, che troverai in hotel, o la tua app preferita e inizia a contare i passi che farai durante la giornata.
Se dimostrerai di aver fatto 10.000 passi al giorno (per ogni giorno della tua vacanza), ti verrà riconosciuto uno sconto del 5%. Mentre se sei un camminatore esperto e riuscirai a fare 20.000 passi al giorno lo sconto raddoppia al 10%. La proposta è valida da aprile a novembre (escluso agosto e le festività) per una vacanza di almeno 7 notti.
L’adesione all’iniziativa “+ Cammini – Paghi” va comunicata all’albergatore al momento della prenotazione o check-in.
L’ospite dovrà richiedere all’albergatore il contapassi al momento della partenza per l’escursione e al rientro dovrà far registrare i passi effettuati sull’apposito cartoncino
L’ospite che avrà dimostrato di aver fatto 10.000 passi al giorno (per ogni giorno di vacanza) avrà diritto ad uno sconto del 5%, se ne avrà fatti 20.000 (per ogni giorno di vacanza) lo sconto sarà invece del 10%. La promozione non è cumulabile con altre offerte ed il soggiorno minimo è di 7 notti. Lo sconto viene applicato sul prezzo della camera e del trattamento fruito dal cliente, sono esclusi gli extra.

Info: www.visitacomano.it

Santa Croce Rifugio Sass dla Crusc (2)

SASS DLA CRUSC, NATURA E FEDE DELLA VAL BADIA

Nella splendida cornice della Val Badia, una delle valli “ladine” delle Dolomiti-Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, emerge con la sua imponenza il versante del Sasso Santa Croce (mt. 2.907), Cima Dieci (mt. 3.026), Lavarela (mt. 3.034) e Conturines (mt.3.067).
Santa Croce o “La Crusc” per i ladini, è anche un bellissimo santuario con ospizio/rifugio raggiungibile con le seggiovie Santa Croce e La Crusc, punto di partenza per varie escursioni più o meno impegnative, che tramite sentieri attrezzati conducono alle vette sovrastanti.
Il santuario di Santa Croce si trova a 2.045 m. slm, ai piedi dell’imponente Monte Santa Croce, sopra il paese di Oies. Il sito www.santa-croce.it ricorda che la piccola chiesetta venne costruita più di 500 anni fa e fu consacrata nel 1484 dal Vescovo ausiliario di Bressanone. Studiosi però presumono che il Santa Croce sia stato un luogo di culto pagano tantissimi anni fa, la cui costruzione sia avvenuta prima che il paese di San Leonardo fosse abitato. Il nome “Col dei Paternostri” (in ladino colle dei “Padre Nostri”), che si riferisce ad un posto antistante al Santuario, potrebbe essere una prima indicazione per questo fatto.. All’interno del santuario oggi troviamo un altare dove sono conservate reliquie antiche di vari santi. Nel campanile, costruito nel 17esimo secolo, ci sono tre grandi campane, che riecheggiano tra le pareti della montagna sovrastante. Il santuario di Santa Croce è anche meta di innumerevoli pellegrinaggi che coinvolgono per lo piú le popolazioni locali, ma anche fedeli di tutto il mondo.
L’ antico ospizio Santa Croce fu costruito invece nel 1718; rappresenta quindi da centinaia di anni il punto di ritrovo e di ristoro per i pellegrini ed offre ospitalità anche a tanti turisti che oltre a poter assaggiare il famoso Kaiserschmarren (frittata dell’ imperatore con mirtilli rossi) del sacrestano Erbino possono anche pernottare nell’ospizio. Specialità della casa: polenta con funghi e formaggio fuso.

Dall’ospizio ci dirigiamo con l’itinerario n. 7 lungo la base della parete fino all’attacco del tratto attrezzato che consente di superare il balzo roccioso e di portarsi sul crinale superiore. Scesi dalla vetta ritorniamo al rifugio (la traccia si ferma volutamente alla base del tratto attrezzato) e da qui seguiamo uno dei percorsi tradizionali delle vie crucis badiote, verso Oies, il paese natale del Santo Giuseppe Freinademetz. Nato a Oies – Badia il 15 aprile 1852, fu ordinato sacerdote della diocesi di Bressanone il 25 luglio 1875. Dopo due anni di ministero a San Martino in Badia, si congedò dalla popolazione della Val Badia che tanto amava per andare a Steyl – Olanda per prepararsi ad una vita missionaria. Un anno dopo, nel 1879 partiva per Hong Kong in Cina per svolgere la sua attività. Da quel giorno fino alla sua morte dedicò tutto il suo tempo al popolo cinese. Vent’anni dopo la sua morte il numero era di duecentomila cristiani suddivisi in cinque diocesi. Il Santo Giuseppe Freinademetz morì il 28 gennaio del 1908 all’età di 56 anni, dopo essersi ammalato di tifo. Papa Paolo VI lo dichiarò Beato nel 1975 e Papa Paolo II lo proclamò Santo il 5 ottobre 2003. La sua casa natale a Oies è visitata ogni anno da moltissimi pellegrini. In una camera al primo piano vi sono esposte diverse reliquie. Nel piano terra c’è la cappella nella quale viene celebrata almeno una volta al giorno la Santa Messa. Nell’anno 1995 è stata costruita la chiesa nuova dedicata al Santo Giuseppe Freinademetz, la quale è divenuta centro di preghiera per molti pellegrini (Fonte: www.freinademetz.it).

• Tempi di percorrenza: 4-5 ore
• Difficoltà: abbastanza facile
• Stagioni: dalla tarda primavera all’autunno
• Valutazione di B2W:
4 piedi


Informazioni: www.santa-croce.it www.altabadia.org www.freinademetz.it

Lago Asbelz dall'alto

AL LAGHETTO D’ASBELZ, DIADEMA DELLE DOLOMITI DI BRENTA MERIDIONALI

Le Dolomiti di Brenta sono celebri per la catena centrale, per il Campanil Basso, per l’infinita parete del Crozzon, per la Via delle Boccchette, per i celebri rifugi. Tutto vero, tutto “bello”. Ma se si vogliono vivere dei momenti di solitudine, a contatto con i segni dell’uomo e della natura, oppure conoscere gli aspetti più nascosti del gruppo montuoso e godere di panorami mozzafiato accompagnati da dettagli d’intima bellezza…. beh, allora i due estremi a nord ed a sud non hanno rivali. A sud, in particolare, dove la copertura calcarea nasconde sottoterra la dolomia principale regalando forme a tratti più arrotondate, a tratti più spigolose, lo scenario si apre verso il bacino “mediterraneo” del Lago di Garda, con influenze determinati su clima, vegetazione e fauna. E, di conseguenza, sugli usi umani nei secoli.
Inoltre, il versante sud delle Dolomiti di Brenta ospita – meglio sarebbe dire “nasconde” – uno dei tesori più reconditi del gruppo, vale a dire il laghetto d’Asbelz, incastonato come un diadema in uno dei circhi superiori della remota Val di Jon. Già in Brenta i laghi sono una rarità e sono, anche per questo, uno più spettacolare dell’altro. Bastano i nomi: lago di Tovel, il lago rosso che è stato alla base della nascita del Parco Adamello-Brenta. Poi il lago d’Agola, con i riflessi smeraldini di pini e larici che si specchiano nella basse acque. Senza contare poi il lago di Molveno, certamente al margine del gruppo, ma che costituisce la vera a propria “riviera” delle Dolomiti, uno specchio che il Fogazzaro definì “preziosa perla in ancor più prezioso scrigno”. Ecco, nella collana di questi rari laghi fa la sua bella figura anche Asbelz, con i suoi soli 3 mila metri di specchio d’acqua ad oltre 2 mila metri di quota: solitario, isolato, magnificamente contornato da calcari del Lias stratificati verticalmente, quasi irrangiungibile. Quasi. Perché da San Lorenzo in Banale, per Baesa ed attraverso i masi di Jon e malga Asbelz un sentiero che sembra un muro (il segnavia n. 349) può condurre con dislivello di oltre mille metri a godere di questo luogo. Ma per rendere la visita ad Asbelz ancora più epica, con la possibilità di incrociare l’orso e l’aquila, proponiamo un altro itinerario, ancor più ardìto, che segue in parte il trekking “Garda-Brenta”. E che entra nel “Patrimonio dell’Umanità” e nella candidata Biosfera UNESCO “Alpi Ledrensi e Judicaria”.
Si parte da Séo di Stenico, la frazione abitata più elevata delle Giudicarie esteriori posta a quota 832 m. slm. Dalla piazza centrale si prende il segnavia n. 348 che sale in direzione “Salti di Stenico”, aereo balcone che si raggiunge dopo circa un’ora e mezza. Già qui la fatica è appagata dall’orizzonte che si apre sotto ai piedi: le Esteriori, la Busa di Tione, i monti del Garda, il Bondone e lo Stivo… Poi su, tra i prati un tempo pascolati e sfalciati fino alla rinnovata Malga Valandro, a quota 1870. Si punta a nord, volendo si può anche salire sulla vetta del Brugnol (2221 m.), prendendo il passo più a valle che introduce in un mondo magico, a parte, isolato e silenzioso. Il sentiero si fa traccia, attraversa in quota ripidissimi versanti, affianca il monte Pizzo per sbucare nella conca del rudere di malga Sgolbia e poi, più in là, a malga Asbelz. Un po’ più a monte ecco il lago: da una parte la frana sottomarina dei Maruggini che lo separa dalla Val d’Ambiez, con cui è collegato da un sentiero che porta al rifugio Cacciatori; dall’altra gli spettacolari strati verticali della Forcolotta che dividono dalla Val d’Algone. Il luogo, ricco di testimonianze geologiche legate a fenomeni carsici ancora attivi è, lo ripetiamo, di una bellezza notevole. La fatica della lunga traversata e dell’elevato dislivello in salita scompare all’improvviso di fronte a tanta generosità di madre Natura. La discesa è una picchiata lungo la ripidissima valle. La cura della gente del Banale per i piccoli masi di Jon, raggiungibili solo a piedi, è persino commovente e testimonia un secolare attaccamento alla terra. Al Pont de Baesa (800 m.) ci attendono le acque del rio Ambiez, ma anche lì vicino la grande ospitalità di Giuseppe ed Agnese al “Ristoro Dolomiti”, un luogo di ristorazione d’eccellenza, con prodotti del territorio e grande cura dell’ospite. La ciuìga prodotta da Giuseppe è una delle migliori del Banale, ma tanti altri suoi patti meritano l’assaggio, come quelli con le comédole (lo spinacio selvatico) o le verze locali, il tutto bagnato da vini rigorosamente trentini come quelli di Toblino, che in linea d’aria è solo ad una decina di chilometri di distanza. Insomma, il versante sud del Brenta è una miniera di tesori naturali ed antropici, tutti da scoprire camminando!

INFORMAZIONI GENERALI

• Tempi di percorrenza: mettere in conto 6-8 ore per tutto il giro, che può essere percorso anche in senso inverso (ricordarsi che i luoghi di partenza/arrivo distano alcuni chilometri, pertanto occorre organizzarsi per il recupero dei veicoli)
• Difficoltà: impegnativo, per la distanza, i dislivelli ed il relativo isolamento, ma tecnicamente non difficile. Molta attenzione in caso di neve/ghiaccio o di maltempo.
• Stagioni: dalla tarda primavera all’autunno.
• Valutazione di B2W:
4 piedi

Informazioni: www.visitacomano.it www.pnab.it www.ristorodolomiti.com

Padova Giardino Biodiversità

PADOVA: ORTO BOTANICO, CULTURA, FEDE E SPRITZ!

La città di Padova è una delle molte realtà urbane italiane ricchissime di storia e cultura. E’ la città di Sant’Antonio, della Cappella degli Scrovegni dipinta da Giotto e del Palazzo della Ragione, della cattedra universitaria di Galileo Galilei, di Prato della Valle e del Caffè Pedrocchi, eccetera. In più, Padova racchiude un luogo che è da quasi vent’anni anche “Patrimonio dell’Umanità”: l’Orto botanico, primo esempio al mondo di questo genere di creazione. Nel corso dei secoli, l’Orto di Padova si è situato al centro di una fitta rete di relazioni internazionali, esercitando una profonda influenza nell’ambiente della ricerca e svolgendo un ruolo preminente nello scambio di idee, di conoscenze, di piante e di materiale scientifico. Sulla base di queste considerazioni, nel 1997 esso è stato iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale come bene culturale. Testimonia infatti uno scambio di influenze considerevoli nell’area culturale delle scienze botaniche (criterio ii della Linee Guida Operative della Convenzione del Patrimonio Mondiale) e costituisce una testimonianza eccezionale di una tradizione culturale (criterio iii). La motivazione in base alla quale è stata presa la decisione del Comitato del Patrimonio dell’Umanità (World Heritage Committee) per l’inserimento dell’Orto Botanico di Padova nella Lista è stata la seguente:
“L’Orto Botanico di Padova è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura. Ha largamente contribuito al progresso di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacia”.
Come riporta il sito dell’Università, “non esistono documenti che attestino la paternità del progetto dell’Horto medicinale. La forma trapezoidale del terreno a disposizione, che precedentemente apparteneva al vicino monastero di Santa Giustina, condizionò la pianta dell’Orto; allo stesso tempo su di essa influirono anche le concezioni scientifiche e filosofiche del tempo, dando luogo a una rappresentazione densa di significati geografici, astrologici e forse persino esoterici. Fu creata una struttura circolare con un quadrato inscritto, a sua volta suddiviso in quattro quadrati più piccoli da due viali perpendicolari. Pochi anni dopo la fondazione, nel 1552, fu costruito un muro circolare di recinzione, per impedire i continui furti notturni delle preziose piante medicinali”. A fianco dell’Orto storico è sorto negli ultimi tempi ad opera dell’Università di Padova il “giardino della biodiversità”. “Le sue serre sono una grande vetrina: un’ideale sezione del globo che dall’equatore digrada verso i poli. Dalle condizioni più favorevoli per la vita, con abbondante umidità e temperature elevate che permettono la crescita della foresta pluviale, fino alle condizioni più estreme, dove il freddo e la scarsa umidità rendono la vita quasi impossibile. Il progetto ha mantenuto il vuoto urbano degli orti benedettini preesistenti agli interventi degli anni Cinquanta del secolo scorso, mentre il rapporto con l’orto antico non è semplice riproposizione delle sue forme. È dato invece dalla lettura delle regole compositive che determinano l’impostazione della parte cinquecentesca. L’edificio è progettato e realizzato per ridurre il più possibile l’impatto ambientale; è una teca di vetro lunga 100 metri e alta 18 nella quale forma, articolazione degli spazi e impianti sono stati ottimizzati per sfruttare al massimo l’apporto dell’energia naturale e gratuita proveniente dal sole. L’edificio ha un ruolo attivo nel trasformare l’ambiente interno e quello circostante, grazie a soluzioni progettuali e tecnologiche. Le superfici opache interne ed esterne sono rivestite con un composto fotocatalitico che sfrutta i raggi ultravioletti per dar luogo a una reazione chimica. Il suo effetto è un abbattimento considerevole dell’inquinamento atmosferico: le stime parlano di 150 metri cubi/metro quadro ripuliti dagli agenti inquinanti ogni giorno. Una nuova tecnica di crescita delle piante arbustive è stata impiegata sulle coperture non trasparenti delle strutture. Trasformare queste aree in zone di crescita del verde ha una positiva ricaduta sull’ambiente: dalla riduzione dei consumi energetici dell’edificio, alla produzione di ossigeno, fino all’abbattimento dei valori di anidride carbonica e polveri sottili. Un sistema computerizzato mette in relazione i dati forniti dalle piante con i parametri di vita ottimali per ciascuna fascia climatica.
La copertura della serre è composta di cuscini di Etilene TetrafluoroEtilene (ETFE), un materiale plastico resistente alla corrosione, più leggero e trasparente del vetro ai raggi ultravioletti, vitali per le piante. La loro forma permette di accogliere il calore del sole, creando un cuscinetto d’aria che riduce le dispersioni per irraggiamento nelle fasi notturne. L’effetto visivo di un unico piano di vetro lungo 100 metri è stato ottenuto con la messa a punto di nuovo sistema di fissaggio delle lastre, senza profili esterni e in grado di sopportare carichi di vento oltre i 400 chilogrammi/metro quadro” (fonte: www.ortobotanicopd.it).
Orto botanico e Giardino della biodiversità si trovano a breve distanza dalla celebre Basilica dedicata a Sant’Antonio, edificio che è in gran parte l’esito a cui si è giunti attraverso tre ricostruzioni, che si sono succedute nell’arco di una settantina d’anni: 1238-1310. Ai tempi di sant’Antonio – ricorda il sito ufficiale della basilica – qui sorgeva la chiesetta di Santa Maria Mater Domini, poi inglobata nella Basilica quale Cappella della Madonna Mora. Accanto ad essa, nel 1229, era sorto il convento dei frati fondato probabilmente dallo stesso sant’Antonio. Il primo nucleo della Basilica, una chiesa francescana a una sola navata con abside corta, fu iniziato nel 1238; vennero poi aggiunte le due navate laterali e alla fine si trasformò il tutto nella stupenda costruzione odierna
Una camminata attraverso l’antica Padova ci porta anche verso la cattedra universitaria di Galileo Galilei e naturalmente alla Cappella degli Scrovegni, capolavoro della pittura del Trecento italiano ed europeo, considerato il ciclo più completo di affreschi realizzato da Giotto nella sua maturità. Colore e luce, poesia e pathos. L’uomo e Dio. Il senso della natura e della storia, il senso di umanità e di fede fusi assieme per narrare in un modo unico, irripetibile le storie della Madonna e di Cristo. Giotto termina gli affreschi della Cappella entro i primi mesi del 1306. In questa data “…la cappella presenta un’architettura molto semplice: un’aula rettangolare con volta a botte, un’elegante trifora gotica in facciata, alte e strette finestre sulla parete sud, un’abside poligonale poi sopraelevata per la cella campanaria”.
Alla fine della unga camminata, che parte dal grande parcheggio di Prato della Valle, un passaggio al Caffè Pedrocchi è d’obbigo. Così come la sosta in Piazza Erbe, davanti al Palazzo della Ragione, per il famoso “spritz”. Padova merita veramente di essere conosciuta a piedi!

• Tempi di percorrenza: una giornata intera
Difficoltà: facile
Stagioni: tutto l’anno
• Valutazione di B2W:
4 piedi


Informazioni: www.ortobotanicopd.it www.basilicadelsanto.org www.cappelladegliscrovegni.it
www.turismopadova.it

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SOLO CON IL CUORE, I POLMONI, LE GAMBE E… LA TESTA!

Senti il battito del cuore, che pulsa fino alle tempie, i polmoni che si aprono, le gambe che spingono…. Solo tu, con il cuore, i polmoni e le gambe. Quando il piede compie il primo passo di ogni escursione il corpo si riattiva, riconosce un codice scritto nel Dna. Le funzioni si riallineano: è come liberare un cane dalla catena, un animale dal suo giogo. Tutto diventa più semplice, basta andare! La bellezza e la magìa del camminare stanno proprio qui. Si va, si va senza “padroni”; si può scegliere l’itinerario, il ritmo, il passo…. Si è da soli CON l’Universo, si è da soli ma DENTRO l’Universo….
“Il nostro polso batte all’unisono con il grande polso della vita che batte attorno a noi”, scriveva 150 anni fa Douglas William Freshfield. E noi come lui ci smarriamo dentro a questo ordine o, se preferiamo, a questo “disordine”. Non ci sono comandi da subire o da imporre, non ci sono regole o consuetudini. Non esistono orari da rispettare, cartellini da timbrare, controllori che ti assillano e che ti assalgono. Solo ascoltare il battito del cuore, l’intensità del respiro, i muscoli delle gambe che si tendono e si rilassano, ritmicamente. Non c’è da dimostrare nulla a nessuno; non c’è da convincere alcuno su niente; si affronta solo la Natura a viso aperto. Come Lucy che scende dall’albero e si alza in piedi, per vedere meglio sopra il limitare della savana. E che, barcollando, inizia il grande viaggio: un passo dopo l’altro…
E’ tutto un gioco di equilibri. L’equilibrio del cuore con quello del respiro: ne’ troppo forte, ne’ troppo debole. L’equilibrio delle gambe col resto del corpo: ne’ troppo veloce, ne’ troppo lento. Non ci sono mai due passi uguali, camminare non è come stare davanti alla catena di montaggio, o come ripetere le stesse infine operazioni quotidiane davanti al computer. Si potrebbe continuare così all’infinito, solo introducendo nell’organismo la giusta dose di energia.
Libertà, libertà assoluta: senza padroni, ma padroni del mondo. Perché la terra, l’aria e l’acqua sono di tutti, come il sentiero, come il cammino. Tu e la montagna, tu e il sentiero, tu e la strada. Nient’altro. Vai! Vai! Vai! Lasciati andare. Ascolta il cuore, immagina come riesce a pompare ossigeno e minerali ad ogni più remota cellula; senti come l’aria entra nei polmoni, pensa il suo flusso che porta tutti i profumi e gli odori del mondo e che pulisce tutto il corpo; osserva le tua gambe come funzionano bene, automaticamente e come i tuoi piedi ti possono portare lontano: più su, più in là, oltre l’immaginazione. Vòltati indietro, ogni tanto, per vedere quanta strada ti hanno fatto fare. E ringraziali. Sembra quasi impossibile che ti abbiano portato così in alto, così distante, in un tempo così relativamente breve, con una fatica così relativamente contenuta.
E la testa? La testa ci vuole, eccome! Ma alle volte, camminando, il corpo può benissimo farne a meno. Ed è in questa piccola “vacanza”, in questa rara possibilità di distacco della testa dal resto del corpo, nella dimensione di un procedere senza pilota, che risiede l’unicità dell’esperienza viandante. Bastano il cuore, i polmoni e le gambe per superare la gravità, per spostarci, per tradurci a destinazione. La testa registra tutto, memorizza, calcola, prevede, allerta…. È la pallina in cima all’antenna trasmittente, il punto di contatto con il Cielo. La puoi disattivare un momento, ma non puoi farne a meno. Perché testa significa anche raziocinio, attenzione, capacità di prevedere e di cogliere i pericoli, di utilizzare esperienza e conoscenza per affrontare e risolvere i problemi. Per tutto questo occorre avere la testa sul collo. In una frase: “per tornare a casa!” Sta qui la vera forza di un esploratore. Sopravvivere, ritornare al proprio quotidiano. Quel “tornerém a bàita” degli Alpini della ritirata di Russia raccontato da Mario Rigoni Stern che, ora finita, è il nostro desiderio ultimo ed il nostro destino dopo tanto peregrinare.

Rifugio e Cima Dodici Apostoli

AGOLA, PRA FIORI’ E DODICI APOSTOLI, TOUR DELLE “PERLE” DEL BRENTA

“Difficilmente si trova un posto più bello”. Così scrisse a fine Ottocento della Val d’Algone, nella parte meridionale del Bene Unesco “Dolomiti di Brenta”, un grandissimo esploratore del passato, Douglas William Freshfield nella sua opera “Italian Alps”. E dalla Val d’Algone partiamo per uno dei tour naturalisticamente più belli delle intere Dolomiti, quello che ci porta a visitare le piccole vedrette (ghiacciai) d’Agola, Prà Fiorì, XII Apostoli e Sacco passando per il rifugio Fratelli Garbari della SAT (più noto come XII Apostoli). Si parte dal parcheggio di Malga Movlina (ad un’ora d’auto da Sténico), l’alpeggio a quota 1750 che nel 1155 ospitò un duello all’ultimo sangue per la proprietà dei terreni, il “Giudizio di Dio” tra le genti del Bleggio e della Rendena. Il sentiero punta a nord, attraversa il pascolo, affianca il piccolo edificio denominato “La Pace” e taglia il versante ovest della Pala dei Mughi, per unirsi al segnavia 307 che porta gli escursionisti che preferiscono utilizzare gli impianti del Doss del Sabion. Giunti al “Lac sec”, depressione carsica dove arriva pure il sentiero dalla Val d’Agola, inizia la salita vera e propria. Ripida, su ghiaioni e mughi, fino all’intaglio della famosa “Scala santa”, un breve tratto attrezzato non difficile, da percorrere in fila indiana. Ancora ghiaioni e poi roccette, con passo mai uguale e quasi da prima esplorazione. Finalmente a 2489 metri, su un balcone naturale, il bel rifugio, costruito nel 1907-8 ma ristrutturato completamente una decina di anni fa. Qui lavora la guida alpina Aldo Turri di Pinzolo, che porta avanti con passione un’eredità pesante, quella della famiglia Salvaterra che ha gestito il rifugio per ben 60 anni! Poco più in là, scavata nel 1952 nella roccia, la famosissima chiesetta dedicata ai caduti della montagna, meta di un frequentatissimo pellegrinaggio e di ineguagliabili concerti del coro Sosat ogni ultima domenica di luglio. Ma noi andiamo più in alto, voltiamo a nord e prendiamo il sentiero in direzione Bocca dei Camosci (e rifugio Brentei), finché a 2600 ci stacchiamo dalla traccia per avvicinarci al maggiore dei ghiacciai delle Dolomiti di Brenta, l’Agola. Se la Marmolada ospita un ghiacciaio più vasto, se l’Antelao uno più alto, nessun altro gruppo dolomitico è così ricco di ghiacciai come il Brenta: una decina di piccole unità di circo, poste generalmente ad ovest o nord, negli ultimi decenni in grande difficoltà. In nessun luogo delle Dolomiti vi è un’alternanza così marcata tra rocce dai colori grigio-rosa-arancione ed il vetrato azzurrognolo del ghiaccio vivo. Dall’Agola passiamo al Prà Fiorì, spegnendo il gps… (per i meno esperti è meglio ridiscendere al rifugio e poi risalire verso la Bocchetta dei Due Denti in direzione rifugio Agostini). Poi ancora più a sud, verso il Dodici Apostoli, attraversando l’omonimo passo che dà il nome a cima e rifugio e che è determinato dalle forme di calcare eroso che compaiono proprio sul versante della Val di Sacco. Valle magnifica, nelle sue forme modellate dai ghiacciai (le “buse”), il rock glacier, la vista sull’Adamello-Presanella, i camosci che ti osservano, le ciàole (gracchio alpino) che fischiano…. Si scende rapidamente per i ghiaioni e le balze rocciose fino alla “busa” a 2050 metri, dalla quale si ammira la vedretta di Sacco, ultimo relitto dei ghiacciai del Brenta. La nostra foto è scattata dalla stazione di misura della temperatura invernale, nel fondo di una dolina carsica. Ci rituffiamo in discesa tra i pini mughi e gli allarmi delle marmotte, fino alla baita del Sass del Pastor; a sud si scende a malga Nambi, ma noi tagliamo il versante meridionale della Pala per arrivare tra larici, abeti e fiori rari come la genzianella del Brenta all’incrocio del sentiero mattutino, che ci riporta alla Movlina. Percorso di grande fascino, molto scenografico, di notevolissimo valore naturalistico. Belle le Dolomiti, bello il Brenta: ma se si vuole qualcosa si più, bisogna rileggere Freshfield….

Informazioni generali
Tempi di percorrenza: 6-7 ore
Difficoltà: lievi-medie
Stagioni: dalla tarda primavera all’autunno
Valutazione di B2W:
4 piedi e mezzo

Informazioni: www.dodiciapostoli.it www.sat.tn.it www.visitacomano.it
Allegati: immagini, traccia gpx

Il lago di Braies dalla cima della Croda del Becco

CRODA DEL BECCO-SEEKOFEL, UNA SALITA DA “NUMERO UNO” NELLE DOLOMITI

Ci sarà pure una ragione più o meno manifesta se qualcosa o qualcuno è definito “numero Uno”. Orbene, quando si parla di sentieri nelle Dolomiti – Patrimonio naturale dell’Umanità, attraversate ormai per il lungo e per il largo da innumerevoli itinerari e da ben 8 Alte Vie, l’Alta Via numero Uno e la tappa numero Uno hanno un luogo ben preciso: il Lago di Braies o Pragser See in lingua tedesca, nel Parco naturale Fanes-Sennes-Braies, area protetta tra le più vaste dell’Alto Adige-Suedtirol, istituita nel 1980. Lo spettacolare bacino incastonato nelle rocce sedimentarie e tra i boschi di conifere della laterale della Val Pusteria, famosissimo da oltre un secolo ma ultimamente diventato meta frequentata anche del cine-turismo a seguito della serie di telefilm interpretati da Terence Hill, è infatti il punto di partenza della prima delle gettonate Alte Vie dolomitiche. Meta della prima tappa è il Rifugio Biella del CAI di Treviso, ma chi ha più “gamba” si spinge già più a sud, a Sennes ad esempio, oppure scarica l’adrenalina sulla Croda del Becco – Seekofel, la bellissima cima che troneggia con le sue inconfondibili forme alle spalle del rifugio, ma che ancor più manifesta la sua possenza dal fondovalle, dal frequentatissimo percorso ad anello attorno al lago. Lasciata dunque l’auto al parcheggio ed aggirato lo storico hotel, si costeggia il lago e s’intraprende la salita, subito ripida, tra ghiaioni e pini mughi. Superato un primo gradino ed entrati nella conca glaciale dove il sentiero si biforca, si riprende a salire sulla destra incontrando poco dopo alcuni tratti attrezzati. Ora si entra in una ulteriore conca, da dove il sentiero svolta a nord per puntare al Passo del Forno. Qui un capitello votivo ci segnala che il rifugio è di poco a valle; ma che se vogliamo si può puntare più in alto, alla cima della Croda del Becco. Fin qui almeno 2 ore, 2 ore e mezza. Ed un’altra ora ci consente di arrivare in vetta, seguendo tracce ed ometti (nessun segnale). Panorama stupendo! Il lago di Braies, 1300 metri più sotto, sembra un diadema incastonato tra le rocce, ma attorno c’è quanto di meglio le Dolomiti possano offrire: da una parte le Dolomiti di Sesto, con le Drei Zinnen (Tre Cime), dall’altra il Cristallo, la Marmolada con le sue nevi, le Alpi Pusteresi…. In basso l’altipiano carsico di Sennes, che ci può portare verso Cortina o verso la Val Badia. Scesi al passo, non possiamo mancare un salto a sottostante rifugio, posto nell’Alpe di Fosses, nel Parco naturale d’Ampezzo, istituito nel 1990 su un’area di 11 mila ettari. L’Eggerer Huette, costruita nel 1907, passò al demanio militare e poi al CAI Biella, per diventare quindi di proprietà del CAI di Treviso nel secondo dopoguerra. Gestito da più di vent’anni dalla guida alpina di Cortina Guido Salton con la sua famiglia, offre una quarantina di posti letto, ma soprattutto una calda ospitalità ed un’ottima cucina, con note ampezzane e sudtirolesi.
Ritorniamo sui nostri passi, la discesa è meno monotona della salita e con una breve variante risparmiamo qualche minuto. Arrivati al lago, lo costeggiamo dal lato opposto a quello della salita, consentendoci così una visione d’insieme. L’isolamento, il silenzio e la magia della mattina hanno nel frattempo lasciato il passo ad un vociare fastidioso di formiche in fila indiana: nessuno però ti guarda e ti saluta. Che differenza dal clima della cima: lassù meno di dieci persone che parlano come fratelli, che si scambiano cibi e bevande, senza mai essersi conosciuti prima in vita loro… C’è differenza anche tra l’essere il Numero Uno in cima od in fondovalle. Bastano solo 1500 metri di dislivello. E noi, se non lo avete ancora capito, preferiamo stare nel piano più in alto…

INFORMAZIONI GENERALI

Tempi di percorrenza: 2 ora e mezza per raggiungere il rifugio, 6/7 ore il nostro giro (toccando la vetta)
Difficoltà: facile, poco difficile
Stagioni: dalla tarda primavera all’autunno.
Valutazione di B2W:
4 piedi

Informazioni: http://www.caitreviso.it/rifugi/rifugio-biella/ www.infodolomiti.it http://www.dolomitiparco.com/ http://www.provincia.bz.it/natura-territorio/temi/parco-naturale-fanes-senes-braies.asp

 

I rifugi Tuckett e Sella

“TUCKETT E SELLA”, NEL CUORE DELLE DOLOMITI DI BRENTA

Francis Fox Tuckett e Quintino Sella. Non due “carneadi” qualunque. Sono dedicati a questi due “giganti” della storia dell’alpinismo i due rifugi-fratelli appollaiati nell’Alta Vallesinella, sul versante occidentale delle Dolomiti di Brenta-Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Costruiti in concorrenza nel primo decennio del ‘900 dalla SAT (il Sella) e dall’Alpenverein di Berlino (la Berliner Huette, oggi Tuckett) quando il Trentino era terra d’Austria, dopo i danneggiamenti della Grande Guerra sono diventati entrambi della SAT che amorevolmente li ha curati ed accuditi, fino alle recenti ristrutturazioni che ne fanno due dei più accoglienti rifugi del Trentino (oggi il Sella svolge la funzione di dependance del Tuckett).
Il luogo dove sorgono è veramente incantevole, alla base del Castelletto Inferiore dall’ottima roccia dolomitica, con i 3150 metri della Cima Brenta che dominano la prospettiva meridionale e con la sua vedretta inferiore che ci può portare camminando anche ad agosto sulla neve fino alla Bocca di Tuckett, cancello di entrata al magico mondo delle Bocchette, la rete di vie ferrate tra le più famose al mondo. Di fronte, sull’altro versante della Rendena, la Presanella ed il Caré Alto con le ampie distese ghiacciate regalano albe mozzafiato. Complice la quota relativamente contenuta (2270 metri slm), la facilità di accesso sia attraverso i sentieri della Vallesinella, sia dagli impianti del Grosté di Madonna di Campiglio, la coppia Tuckett-Sella è assai frequentata e particolarmente amata dalla clientela internazionale. Inglese, tedesco, ceco, polacco…. nella panoramica sala da pranzo rivestita in legno d’epoca sembra si stare piacevolmente all’estero, coccolati dalla famiglia di Daniele Angeli affiancato dai figli Alberto e Giulio, che da oltre trent’anni dispensa consigli ed ottimi piatti.
Dal Tuckett e dal Sella (ricordiamo il primo come uno dei più grandi esploratori montani britannici, mentre il Sella fu, tra l’altro, il fondatore del CAI) si dipartono innumerevoli percorsi di tutte le difficoltà, sia vie di alpinismo, sia ferrate, sia percorsi per camminatori di gamba diversa. Per un approccio facile abbiamo indicato l’accesso dalla stazione superiore degli impianti del Grostè: seguendo il sentiero n. 316 si giunge al rifugio comodamente in meno di un’ora e mezza. Una mezz’ora in più è quella che si impiega invece dal parcheggio di Vallesinella, passando per i Casinei ed il bivio con il rifugio Brentei lungo il sentiero n. 317. Con il 328 ed il 318 si può invece dirigersi verso il Brentei attraverso la Sella del Frìdolin, itinerario segnalato anche dalla nostra traccia gps, che peraltro è salita fino ai 2430 metri della vedretta del Tuckett, che merita di essere “toccata” in quanto è uno dei maggiori ghiacciai delle Dolomiti, quand’anche in forte regresso nel corso degli ultimi decenni. Da Vallesinella si può rientrare quindi al parcheggio del Grosté con la navetta (in alta stagione) o con lunga ma piacevole camminata, con sosta ristoratrice nel centro di Campiglio.
Da segnalare la cucina del Tuckett, da sempre punto d’onore della famiglia Angeli, che presenta anche una buona selezione di vini del Trentino da abbinare ai gustosi piatti della tradizione della val Rendena, con la Spressa Dop, il formaggio di eccellenza, ed i salumi tipici.
Dalla primavera 2014, grazie ai lavori di coibentazione, il Tuckett è aperto per brevi periodi anche in primavera, consentendo così di sciare con le pelli proprio nel cuore delle Dolomiti di Brenta.

INFORMAZIONI GENERALI

Tempi di percorrenza: 1 ora e mezza per raggiungere il rifugio, 6/7 ore il nostro giro (toccando la vedretta)
Difficoltà: facile
Stagioni: dalla tarda primavera all’autunno, dal 2014 anche a fine inverno per lo scialpinismo.
Valutazione di B2W:
4 piedi


Informazioni: www.rifugio-tuckett.it , www.sat.tn.it, www.campigliodolomiti.it

Rifugio Agostini

“AGOSTINI” IN VAL D’AMBIEZ, IL RIFUGIO PIU’ FORTE DELLE VALANGHE

Le valli delle Dolomiti di Brenta, nel Trentino occidentale, sono l’una più bella dell’altra, ma quella che consente di percorrere il massimo sviluppo altimetrico attraversando tutte le fasce vegetazionali, strati geologici,forre, aree carsiche e ricche di fossili, alpeggi e praterie fiorite è una sola: la Val d’Ambiez.
Poiché l’omonimo rivo confluisce nella Sarca alla quota di circa 300 metri slm, da qui alla Cima Tosa, principale elevazione del Brenta, passano circa 2900 metri in una sola dozzina di chilometri in linea d’aria! Come dire, dal leccio ai ghiacciai in un batter d’occhio, come in pochissimi altri posti al mondo…
Meta preferita e di grande soddisfazione in questa splendida valle, accessibile a piedi od in jeep da San Lorenzo in Banale, uno dei “borghi più belli d’Italia” nelle Giudicarie esteriori, è il rifugio “Silvio Agostini” della SAT, posto su un balcone naturale a quota 2410 metri. Costruito da privati nel 1937, passato alla SAT nel dopoguerra ed ampliato più volte, è stato colpito l’inverno scorso da un’enorme valanga che ha percorso il vallone ai piedi della Cima d’Ambiez. Ma è stato più forte della valanga e, nonostante i danni, ha potuto riaprire i battenti ed ospitare i tanti visitatori di questo angolo di Brenta. Forte il rifugio, forti e determinati i gestori, la famiglia di Ignazio e Roberto Cornella di San Lorenzo, che hanno potuto così portare avanti la lunga tradizione di ospitalità e buona cucina.
L’Agostini è la base ideale per eccellenti salite alpinistiche sulla parete est di dolomia purissima della Cima d’Ambiez, ma anche per la via normale alla Cima Tosa. Belle le traversate possibili da qui: verso i Dodici Apostoli per la ferrata e la Bocchetta dei Due Denti. Diverse, ma altrettanto belle, le vie per il rifugio Pedrotti alla Bocca di Brenta. Quella per la Forcolotta di Noghera e la Pozza Tramontana è di particolare interesse geologico e morfologico. Ma attraverso la Bocca d’Ambiez e la vedretta dei Camosci si può raggiungere anche il rifugio ai Brentei. Chi cerca il mondo più selvaggio delle Dolomiti si deve invece dirigere a sud, verso il Ghez, o la Val di Jon e le rupi dei sottogruppi meridionali del Brenta, dalle quali si dominano le Giudicarie con il lago di Garda in lontananza…
Ma l’Agostini è anche un bel punto di arrivo. La salita, lungo il segnavia n. 325 che inizia dal parcheggio di Baesa a 900 metri e dall’attiguo Ristoro Dolomiti gestito dall’ottimo chef Giuseppe Scrosati (d’obbligo assaggiare gli gnocchi con le comédole o la ciuìga in vario modo cucinata…) è senz’altro lunga, poiché ci attendono 1500 metri di dislivello lungo una stradina a tratti monotona. Ma i luoghi che si percorrono sono veramente pieni di fascino. E poi, giunti ai 1800 metri del Rifugio al Cacciatore, meta annuale del ritrovo degli amici di Diana per il premio all’Uomo Probo, si apre un anfiteatro che toglie il fiato e che ha pochi uguali tra i diversi gruppi delle Dolomiti-Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Dal Cacciatore all’Agostini sono poi circa 600 metri di dislivello, ma tra fossili, fiori, animali e panorami non ci si accorge nemmeno dello sforzo. Sia a salire, sia a scendere, si può passare per alcune malghe, quelle di Prato e quelle di Senaso (due delle “ville” di San Lorenzo). Alla Senaso di sotto, presso la quale è transitato anche il nostro itinerario, si può pure acquistare il formaggio di malga.
Al rifugio Agostini si sta sempre bene, la cucina di Roberto Cornella è ottima – la ciuìga di San Lorenzo, l’insaccato arricchito con le rape, è un presidio Slow Food – dal rifugio si vedono, là in fondo, i vitigni della Valle del Sarca, dove nascono Nosiola, Rebo e Vino Santo – ed il clima è sempre “caldo”, qualunque sia la condizione del meteo. Appena fuori dal rifugio il grande masso della Torre Jandl è oggi un’ottima palestra di arrampicata: del resto qui, da decenni, si svolgono i corsi della prestigiosa Scuola Graffer della SAT. All’Agostini si arriva molti mesi all’anno, anche se in inverno e primavera la parte inferiore della valle si presta alla caduta di valanghe, suggerendo dunque massima cautela.
Che si sia amanti della roccia, dei fiori, dei paesaggi o della buona cucina, il nome “Agostini” non può dunque mancare dall’agenda dei camminatori!

INFORMAZIONI GENERALI

Tempi di percorrenza: 3-4 ore per la salita (si può accorciare la salita con il taxi fino al Cacciatore)
Difficoltà: facile
Stagioni: dalla tarda primavera all’autunno (rifugio aperto 20 giugno-fine settembre, con locale invernale)
Valutazione di B2W:
4 piedi


Informazioni: www.rifugioagostini.com, www.sat.tn.it, www.visitacomano.it